Prova elettrofunzionale del disturbo attentivo nella schizofrenia

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 18 marzo 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo studio neuropsicologico del paziente psichiatrico era ancora considerato un’eresia quando Giuseppe Perrella, impiegando i programmi di test-training computerizzati per valutazione e diagnosi cognitiva ideati dai coniugi Gianutsos ed introdotti in Italia da Luciano Lugeschi, otteneva dati di misura precisi sui processi cognitivi di pazienti psicotici. Negli anni seguenti si è sviluppato un filone di studi, anche grazie all’analisi parallela condotta mediante neuroimaging, che ha consentito di superare questi anacronistici tabù dovuti ad una concezione di rigida separazione fra pazienti neurologici e pazienti psichiatrici, e di progredire nella conoscenza dell’influenza dei disturbi psichici sui sistemi della percezione, dell’attenzione e della cognizione.

In realtà, l’interessamento delle facoltà cognitive è parte integrante della descrizione psicopatologica classica della schizofrenia, ma per molto tempo è stato considerato in maniera generica e sommaria, quale componente del quadro clinico ai fini della diagnosi. La prima descrizione scientifica e dettagliata di un caso di psicosi schizofrenica si ritiene sia quella proposta da Morel e relativa ad un giovane che, accanto ai sintomi psicotici, manifestò una rapida perdita di abilità mentali e, da studente brillante qual era, si trasformò in una persona con un deficit intellettivo così marcato da indurre lo psichiatra francese a paragonarlo ai dementi. Dementia praecox sarà infatti la prima denominazione della schizofrenia[1], introdotta da Morel alla pagina 566 del suo trattato pubblicato nel 1860, nel quale parla di “stupidità” in un giovane che “degenerò in uno stato di demenza”[2]. Il difetto cognitivo fu considerato di primaria importanza in questi casi dal celebre nosografista Kraepelin che, integrando anche quanto era emerso dagli studi di Kahlbaum e di altri psichiatri, decise di introdurre la definizione di dementia praecox per questa grave psicosi nel suo trattato del 1898[3].

L’aspetto importante dello studio attuale della cognizione nei pazienti schizofrenici è dato dal non limitarsi a caratterizzare un profilo, ma cercare le basi morfostrutturali della differenza patologica. Un cambiamento radicale, se si pensa che forse lo studio più avanzato della cognizione schizofrenica nel secolo appena trascorso è consistito nell’analisi strutturale della logica delirante, che portò von Domarus a coniare il termine “paralogica” e ad accostare quei processi al pensiero primitivo studiato dagli antropologi in popolazioni rimaste allo stato tribale.

Oggi si è riconosciuta una fisiologia cerebrale diversa nelle persone affette da psicosi schizofrenica e caratterizzata da una disfunzione cognitiva, che si cerca di interpretare concettualmente per poterla indagare più a fondo.

Numerose evidenze hanno mostrato l’esistenza di alterazioni dell’attenzione nelle persone diagnosticate di schizofrenia; ma l’attenzione è il risultato di un complesso insieme di processi che non è facile indagare in maniera analitica e selettiva. Un’interpretazione formulata di recente, e nota col nome di “ipotesi dell’iperfocalizzazione”, postula la tendenza da parte delle persone affette da schizofrenia a concentrare le risorse di elaborazione, restringendone l’impiego rispetto alle persone non affette, ma accrescendone l’intensità.

Uno studio condotto da Kreither e colleghi ha valutato una previsione-chiave di questa ipotesi, ossia che le persone schizofreniche si iper-concentrino sull’informazione presentata al centro dell’escursione dello sguardo. Questo dovrebbe portare ad un maggiore filtro degli stimoli periferici quando il compito sperimentale richiede la focalizzazione centrale, ma ridotto filtro degli stimoli centrali quando il compito richiede un’attenzione più ampiamente estesa alla periferia. La verifica sperimentale è stata condotta analizzando la reazione del cervello sano e schizofrenico mediante studio elettrofisiologico basato sul rilievo di “potenziali cognitivi” o ERP (da event related potential). Le differenze rilevate hanno fornito una significativa base interpretativa per molti aspetti della disfunzione cognitiva degli psicotici.

(Kreither J., et al. Electrophysiological Evidence for Hyperfocusing of Spatial Attention in Schizophrenia. Journal of Neuroscience – Epub ahead of print Mar 10 pii: 3221-16 doi: 10.1523/JNEUROSCI.3221-16.2017, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Mind & Brain, Department of Psychology, University of California, Davis (USA); Maryland Psychiatric Research Center, Department of Psychiatry, University of Maryland School of Medicine, Maryland (USA).

La verifica dell’ipotesi dell’eccesso di focalizzazione al centro dell’escursione dello sguardo, quale indice dell’alterazione dei processi attentivi normali, è stata attuata sperimentalmente mediante un double oddball paradigm, un metodo di uso frequente nella ricerca elettrofisiologica.

L’oddball paradigm è un disegno sperimentale in cui la presentazione di una sequenza ripetitiva di stimoli è raramente interrotta da uno stimolo “deviante” dalla norma rappresentata dagli stimoli ripetuti. Ricordiamo che questo paradigma è stato impiegato per la prima volta nella ricerca condotta mediante ERP presso l’Università di San Diego da Steven Hillyard con Nancy e Kenneth Squires nel 1975[4]. Nella ricerca basata sul rilievo dei potenziali evocati è stato osservato che un potenziale positivo (P) associato ad evento, rilevato dall’area centro-parietale del cranio, che in genere si verifica intorno ai 300 millisecondi dopo la presentazione dello stimolo ed è perciò chiamato P300, è maggiore dopo lo stimolo target. L’onda P300 si sviluppa solo se il soggetto è attivamente impegnato nel compito di rilevare gli stimoli “bersaglio”; l’ampiezza varia con l’improbabilità di questi stimoli e la latenza con la difficoltà di distinguerli da stimoli standard.

Kreither e colleghi presentavano stimoli standard frequenti e rari stimoli “devianti” in localizzazioni centrali e periferiche, mentre venivano rilevate le risposte elettrofisiologiche con la registrazione degli ERP. Gli schizofrenici e i sani fungenti da gruppo di controllo hanno fatto registrare degli schemi di tendenza spaziale assolutamente opposti al livello dell’elaborazione sensoriale immediata, come si desume dai valori della componente P1. Gli affetti da schizofrenia mostravano una soppressione sensoriale maggiore degli stimoli centrali quando il compito richiedeva attenzione estesa alle localizzazioni periferiche; presentavano poi una risposta di categorizzazione dello stimolo più forte dei sani, valutata mediante la componente P3b, per gli stimoli centrali, quando il compito richiedeva attenzione alle parti periferiche.

Questi esiti e il complesso dei dati per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale del lavoro originale, forniscono una forte evidenza di iperfocalizzazione che, secondo gli autori dello studio, potrebbe costituire una base per la spiegazione secondo un meccanismo unificato dei vari aspetti della disfunzione cognitiva della schizofrenia.

A commento dello studio di Kreither, propongo qui di seguito alcune considerazioni conclusive.

È evidente che i pazienti schizofrenici soffrono di un disturbo di quella funzione di orientamento delle risorse cognitive[5] che, seguendo il lessico della neuropsicologia che è stato poi ereditato dalle neuroscienze cognitive, chiamiamo attenzione. Ma l’attenzione, così intesa, è un insieme complesso di componenti funzionali in parte inesplorate; pertanto, si comprende che la precisa e completa definizione del profilo di alterazione dell’attenzione nella schizofrenia sia quanto mai problematica. L’ipotesi dell’iperfocalizzazione, sottoposta a verifica da questo studio, non fa altro che razionalizzare osservazioni empiriche ed evidenze emerse in precedenti studi, ma coglie solo un aspetto relativo al modo in cui si applica l’abilità di seguire degli stimoli visivi mediante la loro elaborazione cerebrale automatica. Se diamo per certo, come sembrano fare gli autori dello studio, che lo stile attentivo del paziente schizofrenico sia spia di una più generale alterazione di base, dovremmo spiegare il perché di questa paradigmaticità e, soprattutto, in cosa esattamente consista l’alterazione di base.

Sul perché l’iperfocalizzazione con restrizione dello spettro attentivo in compiti visuospaziali possa considerarsi un paradigma, ho qualche difficoltà di argomentazione e, pertanto, rimando agli studi che hanno suggerito questa idea, rintracciabili nella bibliografia dell’articolo originale qui recensito. Sulla possibile natura dell’alterazione di base proporrei, invece, un’ipotesi intuitiva. Schematizzando al massimo, si può affermare che i principali elementi morfo-funzionali dell’endofenotipo schizofrenico consistono in alterazioni delle connessioni e riduzione della base neurale fisiologica; pertanto, è ragionevole supporre che si istauri un meccanismo di compenso che porti ad un incremento di attività della base neurale residua efficiente, accanto ad una riduzione non compensabile dello spettro di risorse funzionali di un cervello normale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-18 marzo 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si ricorda che fu Bleuler nel 1911 a proporre il termine schizofrenia per indicare la perdita dei processi associativi alla base della vita psichica normale, con apparente scissione (schizo-) mentale (frenia).

[2] Morel B., Traités des maladies mentales. Masson, Paris 1860.

[3] Citato in Silvano Arieti, Manuale di Psichiatria (in 3 voll.), I volume, p. 621, Boringhieri, Torino 1985. Cfr. Kraepelin E., Dementia Praecox and Paraphrenia, (translation from German 8th edition), Livingstone, Edimburgh 1925.

[4] Squires N. K., et al. Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 38 (4): 387-401, 1975.

[5] Questa efficace ma poco nota definizione è di Giuseppe Perrella.